13 Mar 2013 - Alla scoperta di un gioiello sconosciuto – Carpignano Sesia
E’ noto che il nostro paese e’ricchissimo di opere d’arte, alcune arcinote e supervalorizzate, altre
(e sono la stragrande maggioranza) poco o punto conosciute, se non a specialisti o veri appassionati.
E’ il caso di un paese posto a pochi chilometri da Novara: Carpignano Sesia, che possiede qualcosa di molto raro,
qualcosa che solo recentemente si e’iniziato a valorizzare adeguatamente.
E’ proprio a Carpignano Sesia che il C.L.A.S. ha iniziato la sua attività radunistica relativa al 2013, portando 23 auto
e una cinquantina di persone, nonostante la giornata non prometta gran che dal punto di vista meteorologico.
Arriviamo in paese verso le 10,30 e, subito, parcheggiamo le auto negli spazi che la Polizia Locale ha cortesemente
riservato alla nostra iniziativa ,proprio all’ingresso della zona medioevale dell’abitato, nota come “Il Castello”:
non ha niente di feudale, perché sono i cittadini dell’epoca che lo hanno costruito, per trovarvi rifugio in caso
di incursioni e scorrerie, allora frequentissime.
Qui incontriamo la nostra guida, l’Architetto Salvatore Fiori, singolare figura di appassionato dotato di una
sbalorditiva competenza riguardo la storia di Carpignano e le relative implicazioni di carattere artistico e sociale;
subito veniamo condotti a visitare il Torchio a peso, che ci stupisce per le sue dimensioni e per l’ingegnosità
dei suoi costruttori.
Fiori ci spiega che la costruzione di questo manufatto risale al 1575 e che fu usato un tronco di olmo
della rispettabile lunghezza di circa 13 metri: da allora, fino ai primi del ‘900, questa macchina gigantesca
ha svolto il suo compito di spremere l’uva che i viticultori di un vasto territorio utilizzavano per produrre ottimi vini,
destinati in gran parte all’esportazione.
Nella grande cantina che ospita il torchio sono esposti anche vari attrezzi per la vinificazione accuratamente conservati
, dei tini e alcune grandi botti dell’800.
Molte sono le domande che i soci del C.L.A.S. rivolgono alla nostra guida, che ha così modo di
ampliare il discorso, integrandolo con nomi e avvenimenti.
Ci spostiamo poi di poche decine di metri, per proseguire il nostro itinerario e visitare la chiesa di San Pietro in Castello
, raro e poco conosciuto esempio di edificio sacro in stile Romanico che, salvo alcune modifiche non fondamentali,
ha conservato la sua struttura pressoché intatta.
L’Architetto Fiori ci spiega che l’edificio ha subito delle interruzioni nella sua costruzione, come mostrano le differenze
nei materiali e nelle tecniche d’impiego, e che la chiesa, nel 1141 era entrata a far parte dei possessi della Chiesa Romana,
che però la cede ai monaci di Cluny nel 1184: è l’inizio di un periodo felice, con l’acquisizione di poderi e cascinali
in un territorio che comprendeva il Novarese, il Vercellese e la Valsesia.
A metà del Rinascimento le cose cambiano:come numerose altre abbazie e monasteri l’amministrazione
passa agli Abati Commendatari, che si disinteressano dell’aspetto religioso del loro incarico e sono attenti solo
alle rendite che entrano nelle loro casse.
Le conseguenze non si fanno attendere: già nella prima metà del ‘600 le condizioni dell’edificio
Mostrano i segni di un progressivo decadimento, specie nei soffitti e nelle suppellettili sacre, mentre nel 1663
la decorazione pittorica viene coperta da una mano di calce.
Alla fine del ‘700 l’edificio risulta convertito ad uso agricolo, mentre nel 1867 il ministro Rattizzi, sulla base della
legge perla “Liquidazione dell’Asse Ecclesiastico”, mette la chiesa all’asta: gli acquirenti,dopo un breve periodo nel
quale la struttura e’ destinata a riunioni e banchetti,
frazionano la proprietà, innalzando dei tramezzi e aprendo delle porte in corrispondenza degli absidi; per più di
un secolo della chiesa di San Pietro nessuno parlò più.
Fu solo nel 1928 che uno studioso locale, Paolo Verzone, rimarcava lo stato pietoso in cui versava l’edificio,restando però inascoltato:probabilmente fu proprio la relazione del Verzone che, nell’Agosto del 1945, indusse il locale Comitato di
Liberazione Nazionale a richiedere alla
Sopraintendenza Regionale il ripristino dell’edificio e il suo ritorno ad un uso ecclesiastico, senza però essere ascoltato.
Un’altra studiosa pubblicò una relazione in merito nel 1980, soffermandosi soprattutto sull’architettura, e fornendo
tutte le notizie trovate in vari archivi religiosi e laici: finalmente i Carpignanesi ritrovarono l’interesse per il loro monumento,
costituendo l’Associazione Archeologica Carpignanese e sensibilizzando l’Amministrazione Comunale che avviò le laboriose
procedure per l’acquisizione dell’edificio, il cui restauro iniziò alla fine degli anni ’90.
Nel corso dei restauri tornarono alla luce gli affreschi dell’abside maggiore, che mostrarono dei caratteri inaspettati, sia sul
piano della composizione che su quello dello stile:la composizione non mostra la consueta scena di Gesù Trionfante,
circondato dagli Evangelisti, ma presenta un Gesù alla fine dei tempi,mentre riceve da San Pietro le chiavi della Chiesa,
raffigurata da una figura femminile ben diversa, negli abiti e nell’atteggiamento da quella della Madonna.
La teoria di Apostoli, nello spazio sottostante, rivela nell’esecuzione caratteri di provenienza Bizantina,specialmente nelle
espressioni e nella ricchezza degli abiti, caratteri che, nell’Italia di quell’epoca sono presenti solo a Ravenna o nel Sud Italia
e che provano la presenza a Carpignano di artisti che vengono da ben lontano e che fanno di questo ciclo pittorico qualche
cosa di molto inconsueto, almeno per le nostre regioni.
Quando usciamo dalla chiesa ci accoglie un leggero nevischio che non ci preoccupa, e ci avviamo verso il ristorante
per concludere degnamente questo primo raduno:non sappiamo che questo nevischio si trasformerà in una nevicata
veramente “coi fiocchi”, che causerà qualche problemino per il ritorno a casa; poco male, ci resta la consapevolezza
di aver visto qualcosa di unico.
Antonello Zecca